– La Scuola Salentina –

Esiste, nel Salento leccese, una scuola di pittura che nessuno ha mai considerato ma che perdura incondizionatamente dalla seconda metà del XIX secolo e che ha trovato i suoi natali in seno alla più nota e acclamata Scuola Napoletana dell’omonima Accademia di Belle Arti. Questa scuola, nata con Gioacchino Toma, è a pieno titolo equiparabile alle più note Scuole di Posillipo e di Resina, vicina cronologicamente a esse, e ai loro più alti riferimenti stilistici, ma lontana per ideologia e territorio d’origine.
Vicina a quella di Posillipo (1855-1860), assimilabile alla figura di Giacinto Gigante, che trovò ragion d’essere nel paesaggismo figlio delle influenze del russo Silvestro F. Scedrin, “scopritore del paesaggio sorrentino e inventore di certi tagli divenuti poi tipici della Scuola di Posillipo[1]“, e dell’olandese Anton Sminck van Pitloo, che si recò a Napoli per insegnare pittura presso l’Accademia di Belle Arti. Energie artistiche e visioni estetiche, quelle di Scedrin e Pitloo, canalizzate e utilizzate con raziocinio dal caposcuola Giacinto Gigante.
“Giacinto Gigante appartenne ai quei pittori come Carelli, Vianelli, Duclère, La Volpe, Smargiassi, i quali costituiscono un gruppo di tipo assolutamente napoletano, che Pasquale Vianelli denominò la «scuola di Posillipo». Questa così detta scuola di Posillipo ebbe i primi avviamenti dall’olandese Pitloo, venuto a Napoli a insegnare pittura di paesaggio nell’Istituto di Belle Arti[2]”.

Conseguenza della “Scuola di Posillipo” fu la cosiddetta “Scuola di Resina”, più vicina all’ideologia artistica fatta propria dal Toma, localizzata nel palazzo Borbonico di Ercolano, dove il fondatore Marco De Gregorio aveva il suo studio e dove fu ben presto raggiunto da Federico Rossano, dal pugliese Giuseppe De Nittis e dal toscano Adriano Cecioni. La Scuola di Resina, come scrisse Maltese e fedelmente riportato dal L. Galante[4], portò una «nota nuova […] il suo verismo integrale punta soprattutto sugli effetti domestici e sulla vita degli umili, ma evita rigorosamente motivi patriottici e storici».
Le tracce storiche e bibliografiche sono numerose e univoche nello stabilire la cronologia e i componenti facenti parte del gruppo riconosciuto come Scuola di Resina.
“Nel 1863, su iniziativa di una generazione di brillanti artisti, ad Ercolano, allora chiamata Resina, nasceva l’omonima Scuola, conosciuta anche come – Repubblica di Portici – indirizzata sul tema del verismo e produttrice di opere di straordinaria bellezza[5]”.
“Fu l’occasione per entrare in quel gruppo di sperimentatori che, vicini negli ideali e nel modo di procedere ai macchiaioli toscani, ma nello stesso tempo eredi dei grandi paesaggisti della gloriosa scuola di Posillipo – Pitloo e Gigante – si erano riuniti nella cosiddetta scuola di Resina, o di Portici, dal nome delle località che erano soliti frequentare[6]”
Ma, a differenza di queste due scuole quella “Salentina” (dei salentini o leccesi che dir si voglia) non è identificabile in un gruppo di artisti contemporanei ritrovatisi sotto un’idea comune d’interpretazione del soggetto ovvero del gesto tecnico. Non uno stilema riconducibile a un gruppo di artisti in un dato periodo ma, differentemente da quelle di Posillipo e di Resina, una schiera di artisti che dal 1860 a oggi perpetuano l’arte che trovò in Gioacchino Toma il pioniere, il proprio Maestro da emulare. Un gruppo di pittori che, con la medesima area geografica di provenienza, si è affermato nel tempo in una magnifica staffetta artistica in cui ogni interprete trovò e trova ancora oggi, sotto lo stesso denominatore comune del territorio di origine, il proprio spazio di logica interpretativa lasciata in eredità dal proprio predecessore. Una “linea della rosa” di grandi autori che non vollero mai accodarsi a nessun gruppo o pensiero accademico in voga.
“Nel quadro della pittura italiana dell’Ottocento i critici e storici dell’arte hanno dato a Toma un rilievo particolare, considerandolo l’isolato elaboratore di una espressione artistica originale, estraneo alle scuole, correnti e tendenze che hanno caratterizzato l’arte del secolo scorso in Italia[1]“.

Con questi presupposti nasce l’idea di mostra retrospettiva “da Gioacchino Toma a Mino Delle Site” ovvero un ambizioso progetto d’identità artistica nostrana alla ricerca di una location per affermare la propria esistenza e autenticità. Peculiarità di alcuni pittori provenienti tutti dal Salento che diedero vita, nel tempo, ad una visione propria dell’arte. Un divisionismo geografico o a volte un “non accademismo” che partì dal Toma e dal suo rifiuto per il colorismo partenopeo di origine Fortunyana, passando per Giuseppe Casciaro e le sue “impressions” colorate a pastello, Michele Palumbo con la sua forte vena artistica di matrice “ellenofona” mai stanco di raccontare il vero e Vincenzo Ciardo, con il suo “postimpressionismo salentino” – consumato tra olivi e paesaggi di un, allora ignoto, Capo di Santa Maria di Leuca dall’aria vangoghiana; fino alla perseveranza futurista di Mino Delle Site che traghettò il movimento marinettiano dalle sue origini, negli anni ’30 del novecento, fino al giorno della sua scomparsa nel 1996, noncurante della miriade di stili che sotto la definizione simbolica di “concettuale” professavano di essere, di volta in volta, la modernità del segno artistico.
Un’indipendenza stilistica, quella dei Salentini, nel “cronotopo” della pittura italiana; la capacità di rappresentare il proprio pensiero autonomamente, un’indipendenza passata per Gioacchino Toma, Giuseppe Casciaro, Michele Palumbo, Vincenzo Ciardo, fino a giungere al Delle Site dei nostri giorni, e per tutti quei “Maestri Salentini” che per tre secoli (XIX, XX e XXI) hanno professato e continuano a farlo ancora oggi, grazie ai contemporanei ancora viventi e attivi, l’arte nella più alta accezione del termine.

Tracce inequivocabili del tacito riconoscimento accademico di una vera e propria scuola dei “Salentini” è nelle innumerevoli iniziative artistiche – mostre e aste – che contemplano sempre e con successo i rappresentanti storici del gruppo di pittori che ne fecero parte. E’ raro che un’opera di Toma, di Casciaro, di Palumbo, di Ciardo o di Delle Site restino tra gli invenduti, a patto che si tratti di opere autentiche, delle numerose aste che ogni anno si tengono in giro per il mondo e lungo lo stivale. Ma all’interesse degli operatori del mercato dell’arte si contrappone una reale difficoltà nel reperire opere di detti maestri che sono, evidentemente, gelosamente custodite in collezioni pubbliche e private, ma che, di tanto in tanto, riemergono facendo bella mostra in iniziative culturali di carattere globale, come la recentissima campagna del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che insieme al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, inaugurano il 2018 definendolo così:
“Anno del Cibo Italiano con una campagna social tutta incentrata su alimenti e piatti d’autore, quelli realizzati con tempera e chiaro scuro, in marmo o su ceramica, belli da concepirne profumo e gusto“ […] Le regole della campagna social non cambiano: continua l’invito a visitare gli oltre 420 musei, parchi archeologici e luoghi della cultura italiani, a cercare, fotografare e condividere il tema del mese con l’hashtag #annodelciboitaliano […] L’account Instagram @museitaliani posta e condivide circa 50 locandine digitali, tra le quali figurano la stele di Karo al Museo Egizio di Torino, la Cena con sponsali di Gherardo delle Notti, la Natura morta con peperoni e uva di Giorgio De Chirico, così come le sculture di Darren Bader al Museo Madre di Napoli e i manifesti pubblicitari conservati al Museo Salce di Treviso. Non potevano poi mancare l’Ultima Cena di Leonardo, gli affreschi di Pompei, le nature morte della Villa Medicea di Poggio a Caiano e i dipinti della Scuola Napoletana[10]“.
Rilevante ai fini di questa causa certamente non effimera, ma importante per il sentimento di appartenenza ad un determinato territorio e alla sua cultura, la presenza, tra le 50 locandine, anche di Giuseppe Casciaro e di una sua opera, un pastello dal titolo Natura morta con zucche, firmato e datato 6-41 (giugno 1941), lo stesso anno della sua scomparsa, facente parte della “collezione d’arte allestita da Michele Praitano … in oltre cinquant’anni di ricerca in Italia e all’estero, donata allo Stato nel 2014“, ora esposta in una permanente presso il museo allestito a Palazzo Pistilli di Campobasso.
Autori di fama internazionale, i “Salentini”, esposti nelle più importanti Gallerie museali e collezioni d’arte , pubbliche e private:
- Museo di Capodimonte a Napoli;
- Galleria d’Arte moderna a Roma;
- Galleria degli Uffizi a Firenze;
- Galleria d’Arte moderna Ricci-Oddi a Piacenza;
- Collezione patrimonio Intesa-San Paolo Banco di Napoli;
- Museo dell’Aeronautica G. Caproni a Trento;
- Galleria nazionale della Puglia “G. e R. Devanna” Bitonto
Solo alcuni nomi di famosi musei per comprendere appieno l’impatto culturale che questa “Scuola” ebbe nei secoli XIX e XX in Italia. Ma una scuola per essere tale necessita di maestri e di allievi, di una storia comune e di una produzione di opere che ne caratterizzino il fenomeno. Per concludere,“conditio sine qua non”, di una scia di seguaci che seguano nel tempo la propria stella, non una meteora, ma un riferimento certo nel panorama artistico globale. La “Scuola dei Salentini”, non gregari ma personaggi di spicco della cultura del meridione d’Italia, figure di punta del panorama artistico nazionale …
… to be continued on the book …

di Massimo Galiotta©
ultimato il 28 marzo 2018 – 15h.18

L’opera in copertina (Giacchino Toma, Collage Art – carta e colla su tela, 100×70, 2018) è stata realizzata dall’artista leccese PaolaMontanaroArt, in un lavoro di ricerca e studio delle nuove tecniche artistiche applicate alla rappresentazione del “Vero”, un personale tributo ai Maestri Salentini, un omaggio al caposcuola indiscusso Gioacchino Toma.
L’arte nasce sempre dall’arte e l’artista vero non muore mai, ma rivive nelle sue opere e in coloro che le ameranno[ndr]!
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Bibliografia e Sitigrafia
[1] P. Ricci, G. Toma pittore piccolo-borghese, “Nferta napoletana”, Napoli, 1975;
[2] E. Guardascione, Gioacchino Toma: il colore in pittura, Laterza, Bari, 1924;
[3] Galleria Giordani, mostra retrospettiva Giuseppe Casciaro, Bologna, 1994;
[4] L. Galante, Gioacchino Toma, Messapica Editrice, Lecce, 1975;
[5] G. Cervero, La scuola di Resina – La Repubblica della Luce, Positano News, 4-11-2013;
[6] F. Mazzocca, in De Nittis, Artedossier n°296, Giunti, Febbraio 2013;
[7] G. Stano, Ritratto di Michele Palumbo, 1903, Pastello, collezione privata Calimera;
[8] A. Cassiano, Vincenzo Ciardo, L. Capone Editore, 1979;
[9] Archivio Mino Delle Site ‘www.facebook.com/ArchivioMinoDelleSite/’;
[10] ‘http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/’;