L’olivo del Salento è essenza, natura divina. E’ deità, divinità, e inquanto tale appartiene ad un popolo che ne ha fatto una “religione”. Ciardo nel 1957 ne parlò descrivendone i tratti che già aveva ampiamente approfondito nella sua ricerca pittorica. Per lui l’olivo è “pianta antischematica per eccellenza“, elemento che scatena la riflessione dell’uomo che non si scinde per divenire artista, ma rimane uno e unico, una costante, come l’olivo. La storia recente, purtroppo, ci ha abituati a vedere questa pianta secolare minacciata dal morbo della xylella, condotta ormai allo strèmo delle forze, incapace di reagire come le persone che sino ad oggi se ne sono prese cura. Ma come nella vita reale, anche in arte ci sono uomini coraggiosi che continuano a credere e a riflettere su come mantenere in vita il simbolo di una terra nonostante la volontà di chi, per proprio interesse, mina le solide radici di una pianta “stravagante” che ha imparato ad adattarsi al clima avverso ma non al pensiero distruttivo dell’uomo-orco. E’ interessante leggere la visione di un artista affermato come Vincenzo Ciardo che, negli anni ’50, aprì il suo primo libro con un postulato sull’olivo del Salento.
I.G.
di Vincenzo Ciardo:
«L’olivo Salentino è pianta antischematica per eccellenza. La sua norma, se così si può dire, è una sorta di irrazionalità stravagante, la quale preferisce accordarsi con gli accidenti del suolo e con le alternative del clima, piuttosto che obbedire al controllo dell’uomo.

Forse è per questo che gli oliveti del Salento possono esibire un repertorio inesauribile di sagome paradossali, di strutture e complicazioni di linee bizzarre, quasi ad ammonire che in materia di invenzioni la natura la sa più lunga di noi. Nessuna immaginazione di artista saprebbe deformare e contorcere la figura umana, intrecciar corpi a quel modo e quegli stessi slanci disperati, com’è dato di vedere nei tronchi ultrasecolari di Terra d’Otranto, complessi e massicci come pilastri di architetture medioevali, tutti bozze e fenditure, che affondano nei sassi il groviglio tentacolare delle radici. Quasi verrebbe di pensare a delle anticipazioni delle teorie cubiste … Vuol dire che mentre in natura tutto finisce per risultare logico, perché tutto vi ha una sua funzione precisa, certe trovate dell’arte sono elaborazioni sofisticate ed affaticanti di un cerebralismo che rifiuta i contatti con la realtà.
Allo straordinario assortimento delle forme fa riscontro la variabilità dell’umore. Quando il tempo è calmo l’olivo è statico e solenne, ha un che di placido e di familiare che suggerisce la serenità. Investito dal vento si trasforma in un organismo stranamente vivo, in una frenesia di chiome sconvolte, di musicalità assurde. Le contorsioni dei tronchi hanno allora qualcosa di dolorante, la pianura è tutta un mareggiare di cime argentate, nel quale naufraga il mito del simbolo della pace. Inoltre l’olivo mal sopporta la regola dell’uomo. Se ne può avere cura finché si vuole, trattarlo con gli accorgimenti della migliore scienza, ma in definitiva fa a modo suo, irridendo a calcoli e speranze. Per anni s’impunta e non da frutto, senza un motivo. Poi eccolo che piega sotto il peso delle fronde stracariche, a scorno di chi l’aveva abbandonato a se stesso. Perciò i suoi rapporti con l’uomo non sono facili. E tuttavia questa pianta sconcertante domina da millenni la vita della regione salentina col suo fascino primordiale, e più ancora con la sua onnipresenza.

La incontri ovunque. Smilza e stentata lungo i cigli rocciosi della costa adriatica e nelle crepe dei burroni, maestosa ed opulenta ai bordi delle strade polverose e nelle pianure del Capo di Leuca. Senza l’olivo il paesaggio del Salento non sarebbe quello che è, ma solo una pietraia desolata, irta di pali telegrafici, perché è l’olivo che gli dà un volto particolare, inserendosi nelle dominanti tonalità del grigio dei sassi, del rosso del terreno, del bianco calcinato delle case. E’ come il suggello del tipico cromatismo locale, discreto ed aristocratico, il quale si risolve nella magia luminosa di un cielo già quasi orientale. In quella semplicità disadorna è facile scoprire dei nessi con la malinconica interiorità della tavolozza di un Toma, il più apparentemente povero, il più spirituale dei pittori meridionali dell’ottocento. La uniformità piatta del territorio, con quelle caratteristiche prospettive degli orizzonti bassi e lontani, fa dell’olivo il numero uno di ogni veduta, di ogni inquadratura. Di giorno quando il solleone ne respinge l’ombra ai margini della strada accanto a quella del palo telegrafico, solitario numero due della scena, di notte quando si staglia scurissimo contro il plenilunio.
Come dire che la identità olivo-Salento è perfetta. Questa terra non ha forse di meglio da offrire agli itinerari distratti del turismo e di certa letteratura. Il suo è un fascino in sordina, nel quale anche il ricordo della fatica umana entra per la sua parte. Non ha niente di spettacolare, fatto com’è di cose piane e dimesse, alle quali bisogna accostarsi con semplice cuore. Solo così si può intendere come nel Salento l’olivo sia qualcosa di più di uno dei tanti accidenti del mondo vegetale, cioè una sorta di deità casalinga, bonaria e patriarcale, che accompagna infaticabile l’esistenza dell’uomo. Un po’ come il destino. Ma un destino nel quale, tutto sommato, l’idillio prevale sul dramma».
Titolo originale:
L’OLIVO DEITÀ CASALINGA DEL SALENTO
In QUASI UN DIARIO – APPUNTI SALENTINI
Per la copertina del post:
Biagio Magliani, ulivo, 100 x 80, olio su tela
Vincenzo Ciardo (Gagliano del Capo, Lecce, 25.10.1894 – 26.09.1970) fu professore di paesaggio presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Partecipò – anche con mostre personali – alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali di Roma, a varie esposizioni di arte italiana all’estero ed a quelle a carattere nazionale più importanti. Tra la critica, quella sicuramente di più elevata sintassi fu scritta da Carlo Ludovico Ragghianti (1910-1987) che così definì la sua arte: «La pittura di Ciardo è tra le più ricche di momenti lirici, specchia stati d’animo che vanno dal contemplativo al drammatico, dal sereno al nostalgico, sempre in una condizione interiore di cui è caratteristico l’abbandono cosciente alle suscitazioni del sentimento».
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Bibliografia e Sitigrafia:
Testo tratto integralmente da: V. Ciardo, Quasi un diario, Mele Editore, Napoli, 1957
Immagini di olivo tratte da: http://www.biagiomagliani.it/htm/opere.htm
Beautiful and amazing Trees. Great work! Cheers!
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Thank you so much!
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