Giuseppe Casciaro (Ortelle, 1863 – Napoli, 1941[1])
E’ stato il più francese tra gli artisti salentini, vissuti e viventi. Fu inizialmente allievo, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, del noto Maestro galatinese Gioacchino Toma (di cui fu anche uno dei maggiori collezionisti) e apprese, in un secondo momento, la tecnica del pastello dall’abruzzese F. P. Michetti, rimanendone così colpito che divenne, tra i suoi colleghi eredi della scuola di Posillipo, il solo ad adottarla come principale strumento pittorico e affermandosi, nel tempo, quale indiscusso maestro.
Sul finire del XIX secolo, dal 1892 al 1896, compì numerosi viaggi a Parigi entrando in contatto con il mondo culturale francese, e le relative correnti pittoriche, conoscendo Giuseppe De Nittis ed il mercante d’arte parigino Adolphe Goupil (1806-1893) che commercializzò le sue opere (Goupil e Reutlinger, furono due mercanti d’arte parigini che erano soliti venire in Italia per acquistare opere con il fare tipico dei mecenati), in tal senso giungono fino a noi importanti testimonianze storico bibliografiche che sottolineano come “la moda coloristica, scaturita dal facile successo mondano del Fortuny a Parigi, era stata conosciuta a Napoli pel tramite dei negozianti parigini – Goupil e Reutlinger – che si recavano in Italia per acquistar dipinti, con autorità di mecenati[5]”. E’ proprio in questo contesto culturale, di continuo scambio, che Napoli conobbe il Fortuny e viceversa il Casciaro conobbe Parigi..
I suoi soggiorni parigini, sul finire del XIX sec. furono fondamentali per completarne la formazione all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ebbe modo di confrontarsi con l’impressionismo, osservando l’opera dei principali autori, e di misurare se stesso con il post-impressionismo assaggiandone le novità teoriche – come diceva Paul Cézanne – “di liberazione del paesaggio dalla tirannia dell’attimo impressionista”. Il colore divenne per il maestro di Ortelle fondamentale nella ricerca paesistica che egli cercò di allontanare dalla tradizione napoletana e da quel idioma artistico “saldamente ancorato al dato naturale[3]” per farlo divenire elemento di vera e propria astrazione e rendendo l’artista Giuseppe Casciaro un non allineato come era già stato Gioacchino Toma. Un artista che grazie alla sua “naturale inclinazione ad accogliere e sperimentare formule pittoriche di diversa provenienza rende problematico stabilire ciò che costituisce il nucleo personale della sua poetica rispetto alle mediazioni culturali esterne[3]”.

Mareggiata, qui ritratta, fu realizzata dal Casciaro nel 1928 prendendo spunto da quella tecnica sviluppata in Francia che trovava un valido alleato nel pratico strumento coloristico caro agli impressionisti pastellisti d’oltralpe. Il soggetto si sviluppa su due piani prospettici ben distinti separati dalla diagonale dell’onda che si infrange sugli scogli in un susseguirsi di declinazioni di azzurri e bianchi che conferiscono all’opera, a seconda dell’intensità luminosa proiettata, una capacità camaleontica di cambiare aspetto, “nuance”. La gamma di colori freddi è usata quasi totalmente in un gioco di contrasti di simultaneità in cui il grigio nella sua duplice veste di fondo sabbioso e di cielo cupo produce un effetto di vivace lucentezza e trasparenza dei flutti che spumeggianti irrompono sulle rocce rendendo il colore idoneo all’impiego estetico, così come diceva Goethe nel suo saggio – La teoria dei colori – “Solo il contrasto simultaneo rende il colore idoneo ad un impiego estetico” [4].
Soffermarsi sul concetto di contrasto cromatico, in quest’opera come in altre del Casciaro è fondamentale per comprendere appieno l’armonia dei colori che l’autore intendeva ottenere. Il contrasto di simultaneità[2] non è l’unico rilevabile nel quadro in questione ma è decisamente il principale, l’elemento caratterizzante, nell’incessante ricerca artistica dell’effetto cromatico che nell’opera avrebbe dovuto evocare tutte quelle sensazioni scatenate dal mare, quello reale!
“Contrasto di simultaneità è il fenomeno per cui il nostro occhio, sottoposto a un dato colore, ne esige contemporaneamente, cioè simultaneamente, il complementare, e non ricevendolo se lo rappresenta da se. Il fenomeno prova che per l’armonia cromatica è essenziale il rispetto della legge dei complementari. Il colore prodotto simultaneamente esiste solo nella percezione cromatica del riguardante, e non nella realtà esterna [2]“.

Mi è capitato quest’estate di essere in riva al mare Adriatico, in riva al mare di una spiaggia del Salento, con quello stesso mare mosso, con quegli stessi scogli immersi tra le acque a fare da naturali frangiflutti. Mi è capitato che nelle giornate di tramontana l’effetto fosse lo stesso già visto nell’opera “mareggiata” del Casciaro. Non sto dicendo che ho riconosciuto quello stesso luogo, vero forse, solo nell’immaginario dell’artista, ma di essermi ritrovato nei pensieri, nelle fattezze di quello stesso mare, in quei toni di colore fatti di azzurri, di verdi, di grigi, di blu e di bianchi che il pittore di Ortelle aveva usato per raccontare il mare. Il suo mare colorato con i suoi pastelli, forse troppo grande nella scelta del supporto per essere rappresentato dal vero, o meglio, all’aria aperta com’era solito fare nei paesaggi di più piccole dimensioni, ma sicuramente così come egli stesso lo aveva osservato nelle tante occasioni in cui fece ritorno alla propria terra natale. Quel mare colorato a pastello del 1928 era troppo simile, somigliante in modo imbarazzante a quello da me rivisto 89 anni più tardi sulla riva di quella spiaggia. L’unica variante, inverosimile ma funzionale all’effetto di simultaneità, poetica a dire il vero, è in quel cielo grigio, cupo, che non lascia passare la luce che invece brilla e traspare sulla schiuma di quelle identiche onde.
Noto interprete della pittura “en plein air” trovò nel pastello, che sovente egli stesso fabbricava[7], il mezzo ideale per rappresentare paesaggi famigliari[8]. Soggetti che, durante i suoi frequenti soggiorni Salentini nella natìa Ortelle, spesso riprendevano la costa di Castro o la campagna circostante. Celebri le sue marine ovvero “mareggiate” che piene di movimento divennero ricercate opere d’arte contese, ieri come oggi, dai collezionisti di tutto il mondo.

Identificabile cronologicamente ma non stilisticamente tra i post impressionisti italiani divenne, nei primi anni del ‘900, e fino alla sua scomparsa nel 1941, “sentinella” del vero in un turbolento mondo che vide nei Futuristi marinettiani e nell’aeropittura, magistralmente interpretata dal conterraneo Mino Delle Site, “il totale superamento dei confini della realtà terrestre[6]”, e quindi del verismo di matrice ottocentesca.
“In uno scritto teorico, apparso nel catalogo della Mostra futurista di aeropittura e di scenografia, svoltasi nella galleria Pesaro di Milano nell’ottobre-novembre 1931 Prampolini così scriveva: “Io vedo nell’aeropittura il totale superamento dei confini della realtà terrestre, mentre si sprigiona in noi, piloti inestinguibili di nuove realtà plastiche, il desiderio latente di vivere le forze occulte dell’idealismo cosmico[6]”.
Ma il seme dell’arte di Giuseppe Casciaro continuò a germinare incessantemente, a provocare l’ispirazione di numerosi artisti che negli anni lo imitarono, lo copiarono o lo scelsero “tout court” come proprio maestro nell’intento di perpetuare l’unica Arte che sia in grado di coniugare razionale e irrazionale, oggetto da ritrarre che diviene astrazione, quella dell’oggettivamente bello, il Vero!
Bibliografia e sitigrafia
[1] Per le date di nascita e morte dell’artista – Università del Salento Dipartimento di Beni Culturali – Atlante di Terra d’Otranto;
[2] Johannes Itten, Arte del colore, il Saggiatore, 2010, Milano;
[3] P. L. Di Giacomo, G. Casciaro, Catalogo della mostra, Gallerie Giordani, 1994, Bologna;
[4] Johann Wolfgang von Goethe, La teoria dei colori, il Saggiatore, 2008, Milano;
[5] Aldo de Rinaldis, Gioacchino Toma, Arnoldo Mondadori Editore, 1934, Milano;
[6] Antonio Lucio Giannone, Mino Delle Site: una “lunga fedeltà” al Futurismo, in Futurismo. Centenario di Mino Delle Site, e-book, 2014;
[7] Rosa L.A. – La tecnica della pittura dai tempi preistorici ad oggi, Soc. Ed. Libraria, 1949, Milano.
[8] Il valore semantico che si è inteso dare all’aggettivo e/o sostantivo “famigliare” rimane più fedele al nome famiglia da cui deriva, ovvero di «aggettivo pertinente o riconducibile alla famiglia e ai rapporti fra i suoi membri», un paesaggio famigliare è un paesaggio appartenente alla famiglia, al territorio di origine dei membri di quella data famiglia. Per contrapposizione un “paesaggio familiare” potrebbe essere inteso come un luogo noto o che evoca affinità con altri luoghi propri o già visti, già visitati e che ricordano altri posti (per es. “questo paesaggio mi è familiare, guardandolo mi sembra d’essere in Grecia”).
di Massimo Galiotta
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